Purgatorio
Canto XXVI, The Lustful
Dante Alighieri
Dante's original Italian
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C.E. Norton prose translation | In NOTES frame |
H.F. Cary poetic translation | In DEFINTIONS frame |
H.W. Longfellow poetic translation | In AUXILARY window |
Sources for text |
Mentre che sì per lorlo, uno innanzi altro,
ce nandavamo, e spesso il buon maestro
diceami: «Guarda: giovi chio ti scaltro»;
feriami il sole in su lomero destro,
che già, raggiando, tutto loccidente
mutava in bianco aspetto di cilestro;
e io facea con lombra più rovente
parer la fiamma; e pur a tanto indizio
vidi molt ombre, andando, poner mente.
Questa fu la cagion che diede inizio
loro a parlar di me; e cominciarsi
a dir: «Colui non par corpo fittizio»;
poi verso me, quanto potëan farsi,
certi si fero, sempre con riguardo
di non uscir dove non fosser arsi.
«O tu che vai, non per esser più tardo,
ma forse reverente, a li altri dopo,
rispondi a me che n sete e n foco ardo.
Né solo a me la tua risposta è uopo;
ché tutti questi nhanno maggior sete
che dacqua fredda Indo o Etïopo.
Dinne com è che fai di te parete
al sol, pur come tu non fossi ancora
di morte intrato dentro da la rete».
Sì mi parlava un dessi; e io mi fora
già manifesto, sio non fossi atteso
ad altra novità chapparve allora;
ché per lo mezzo del cammino acceso
venne gente col viso incontro a questa,
la qual mi fece a rimirar sospeso.
Lì veggio dogne parte farsi presta
ciascun ombra e basciarsi una con una
sanza restar, contente a brieve festa;
così per entro loro schiera bruna
sammusa luna con laltra formica,
forse a spïar lor via e lor fortuna.
Tosto che parton laccoglienza amica,
prima che l primo passo lì trascorra,
sopragridar ciascuna saffatica:
la nova gente: «Soddoma e Gomorra»;
e laltra: «Ne la vacca entra Pasife,
perché l torello a sua lussuria corra».
Poi, come grue cha le montagne Rife
volasser parte, e parte inver larene,
queste del gel, quelle del sole schife,
luna gente sen va, laltra sen vene;
e tornan, lagrimando, a primi canti
e al gridar che più lor si convene;
e raccostansi a me, come davanti,
essi medesmi che mavean pregato,
attenti ad ascoltar ne lor sembianti.
Io, che due volte avea visto lor grato,
incominciai: «O anime sicure
daver, quando che sia, di pace stato,
non son rimase acerbe né mature
le membra mie di là, ma son qui meco
col sangue suo e con le sue giunture.
Quinci sù vo per non esser più cieco;
donna è di sopra che macquista grazia,
per che l mortal per vostro mondo reco.
Ma se la vostra maggior voglia sazia
tosto divegna, sì che l ciel valberghi
chè pien damore e più ampio si spazia,
ditemi, acciò chancor carte ne verghi,
chi siete voi, e chi è quella turba
che se ne va di retro a vostri terghi».
Non altrimenti stupido si turba
lo montanaro, e rimirando ammuta,
quando rozzo e salvatico sinurba,
che ciascun ombra fece in sua paruta;
ma poi che furon di stupore scarche,
lo qual ne li alti cuor tosto sattuta,
«Beato te, che de le nostre marche»,
ricominciò colei che pria minchiese,
«per morir meglio, esperïenza imbarche!
La gente che non vien con noi, offese
di ciò per che già Cesar, trïunfando,
Regina contra sé chiamar sintese:
però si parton Soddoma gridando,
rimproverando a sé com hai udito,
e aiutan larsura vergognando.
Nostro peccato fu ermafrodito;
ma perché non servammo umana legge,
seguendo come bestie lappetito,
in obbrobrio di noi, per noi si legge,
quando partinci, il nome di colei
che simbestiò ne le mbestiate schegge.
Or sai nostri atti e di che fummo rei:
se forse a nome vuo saper chi semo,
tempo non è di dire, e non saprei.
Farotti ben di me volere scemo:
son Guido Guinizzelli, e già mi purgo
per ben dolermi prima cha lo stremo».
Quali ne la tristizia di Ligurgo
si fer due figli a riveder la madre,
tal mi fec io, ma non a tanto insurgo,
quand io odo nomar sé stesso il padre
mio e de li altri miei miglior che mai
rime damore usar dolci e leggiadre;
e sanza udire e dir pensoso andai
lunga fïata rimirando lui,
né, per lo foco, in là più mappressai.
Poi che di riguardar pasciuto fui,
tutto moffersi pronto al suo servigio
con laffermar che fa credere altrui.
Ed elli a me: «Tu lasci tal vestigio,
per quel chi odo, in me, e tanto chiaro,
che Letè nol può tòrre né far bigio.
Ma se le tue parole or ver giuraro,
dimmi che è cagion per che dimostri
nel dire e nel guardar davermi caro».
E io a lui: «Li dolci detti vostri,
che, quanto durerà luso moderno,
faranno cari ancora i loro incostri».
«O frate», disse, «questi chio ti cerno
col dito», e additò un spirto innanzi,
«fu miglior fabbro del parlar materno.
Versi damore e prose di romanzi
soverchiò tutti; e lascia dir li stolti
che quel di Lemosì credon chavanzi.
A voce più chal ver drizzan li volti,
e così ferman sua oppinïone
prima charte o ragion per lor sascolti.
Così fer molti antichi di Guittone,
di grido in grido pur lui dando pregio,
fin che lha vinto il ver con più persone.
Or se tu hai sì ampio privilegio,
che licito ti sia landare al chiostro
nel quale è Cristo abate del collegio,
falli per me un dir dun paternostro,
quanto bisogna a noi di questo mondo,
dove poter peccar non è più nostro».
Poi, forse per dar luogo altrui secondo
che presso avea, disparve per lo foco,
come per lacqua il pesce andando al fondo.
Io mi fei al mostrato innanzi un poco,
e dissi chal suo nome il mio disire
apparecchiava grazïoso loco.
El cominciò liberamente a dire:
«Tan mabellis vostre cortes deman,
quieu no me puesc ni voill a vos cobrire.
Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
consiros vei la passada folor,
e vei jausen lo joi quesper, denan.
Ara vos prec, per aquella valor
que vos guida al som de lescalina,
sovenha vos a temps de ma dolor!».
Poi sascose nel foco che li affina.
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File date: Sunday, September 29, 2002