Exploring The Waste Land - Show supplementary textInferno
Canto XXXIII
Dante Alighieri
Dante's original Italian
- «Vexilla regis prodeunt inferni
- verso di noi; però dinanzi mira»,
- disse l maestro mio, «se tu l discerni».
- Come quando una grossa nebbia spira,
- o quando lemisperio nostro annotta,
- par di lungi un molin che l vento gira,
- veder mi parve un tal dificio allotta;
- poi per lo vento mi ristrinsi retro
- al duca mio, ché non lì era altra grotta.
- Già era, e con paura il metto in metro,
- là dove lombre tutte eran coperte,
- e trasparien come festuca in vetro.
- Altre sono a giacere; altre stanno erte,
- quella col capo e quella con le piante;
- altra, com arco, il volto a piè rinverte.
- Quando noi fummo fatti tanto avante,
- chal mio maestro piacque di mostrarmi
- la creatura chebbe il bel sembiante,
- dinnanzi mi si tolse e fé restarmi,
- «Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il loco
- ove convien che di fortezza tarmi».
- Com io divenni allor gelato e fioco,
- nol dimandar, lettor, chi non lo scrivo,
- però chogne parlar sarebbe poco.
- Io non mori e non rimasi vivo;
- pensa oggimai per te, shai fior dingegno,
- qual io divenni, duno e daltro privo.
- Lo mperador del doloroso regno
- da mezzo l petto uscia fuor de la ghiaccia;
- e più con un gigante io mi convegno,
- che i giganti non fan con le sue braccia:
- vedi oggimai quant esser dee quel tutto
- cha così fatta parte si confaccia.
- Sel fu sì bel com elli è ora brutto,
- e contra l suo fattore alzò le ciglia,
- ben dee da lui procedere ogne lutto.
- Oh quanto parve a me gran maraviglia
- quand io vidi tre facce a la sua testa!
- Luna dinanzi, e quella era vermiglia;
- laltr eran due, che saggiugnieno a questa
- sovresso l mezzo di ciascuna spalla,
- e sé giugnieno al loco de la cresta:
- e la destra parea tra bianca e gialla;
- la sinistra a vedere era tal, quali
- vegnon di là onde l Nilo savvalla.
- Sotto ciascuna uscivan due grand ali,
- quanto si convenia a tanto uccello:
- vele di mar non vid io mai cotali.
- Non avean penne, ma di vispistrello
- era lor modo; e quelle svolazzava,
- sì che tre venti si movean da ello:
- quindi Cocito tutto saggelava.
- Con sei occhi piangëa, e per tre menti
- gocciava l pianto e sanguinosa bava.
- Da ogne bocca dirompea co denti
- un peccatore, a guisa di maciulla,
- sì che tre ne facea così dolenti.
- A quel dinanzi il mordere era nulla
- verso l graffiar, che talvolta la schiena
- rimanea de la pelle tutta brulla.
- «Quell anima là sù cha maggior pena»,
- disse l maestro, «è Giuda Scarïotto,
- che l capo ha dentro e fuor le gambe mena.
- De li altri due channo il capo di sotto,
- quel che pende dal nero ceffo è Bruto:
- vedi come si storce, e non fa motto!;
- e laltro è Cassio, che par sì membruto.
- Ma la notte risurge, e oramai
- è da partir, ché tutto avem veduto».
- Com a lui piacque, il collo li avvinghiai;
- ed el prese di tempo e loco poste,
- e quando lali fuoro aperte assai,
- appigliò sé a le vellute coste;
- di vello in vello giù discese poscia
- tra l folto pelo e le gelate croste.
- Quando noi fummo là dove la coscia
- si volge, a punto in sul grosso de lanche,
- lo duca, con fatica e con angoscia,
- volse la testa ov elli avea le zanche,
- e aggrappossi al pel com om che sale,
- sì che n inferno i credea tornar anche.
- «Attienti ben, ché per cotali scale»,
- disse l maestro, ansando com uom lasso,
- «conviensi dipartir da tanto male».
- Poi uscì fuor per lo fóro dun sasso
- e puose me in su lorlo a sedere;
- appresso porse a me laccorto passo.
- Io levai li occhi e credetti vedere
- Lucifero com io lavea lasciato,
- e vidili le gambe in sù tenere;
- e sio divenni allora travagliato,
- la gente grossa il pensi, che non vede
- qual è quel punto chio avea passato.
- «Lèvati sù», disse l maestro, «in piede:
- la via è lunga e l cammino è malvagio,
- e già il sole a mezza terza riede».
- Non era camminata di palagio
- là v eravam, ma natural burella
- chavea mal suolo e di lume disagio.
- «Prima chio de labisso mi divella,
- maestro mio», diss io quando fui dritto,
- «a trarmi derro un poco mi favella:
- ov è la ghiaccia? e questi com è fitto
- sì sottosopra? e come, in sì poc ora,
- da sera a mane ha fatto il sol tragitto?».
- Ed elli a me: «Tu imagini ancora
- desser di là dal centro, ov io mi presi
- al pel del vermo reo che l mondo fóra.
- Di là fosti cotanto quant io scesi;
- quand io mi volsi, tu passasti l punto
- al qual si traggon dogne parte i pesi.
- E se or sotto lemisperio giunto
- chè contraposto a quel che la gran secca
- coverchia, e sotto l cui colmo consunto
- fu luom che nacque e visse sanza pecca;
- tu haï i piedi in su picciola spera
- che laltra faccia fa de la Giudecca.
- Qui è da man, quando di là è sera;
- e questi, che ne fé scala col pelo,
- fitto è ancora sì come prim era.
- Da questa parte cadde giù dal cielo;
- e la terra, che pria di qua si sporse,
- per paura di lui fé del mar velo,
- e venne a lemisperio nostro; e forse
- per fuggir lui lasciò qui loco vòto
- quella chappar di qua, e sù ricorse».
- Luogo è là giù da Belzebù remoto
- tanto quanto la tomba si distende,
- che non per vista, ma per suono è noto
- dun ruscelletto che quivi discende
- per la buca dun sasso, chelli ha roso,
- col corso chelli avvolge, e poco pende.
- Lo duca e io per quel cammino ascoso
- intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
- e sanza cura aver dalcun riposo,
- salimmo sù, el primo e io secondo,
- tanto chi vidi de le cose belle
- che porta l ciel, per un pertugio tondo.
- E quindi uscimmo a riveder le stelle.
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File date: Sunday, September 29, 2002